Secondo recenti stime sono 7 milioni le costruzioni realizzate prima del 1971, quindi non in linea con l’attuale normativa sismica. A ciò vanno aggiunti altri 4,1 milioni di edifici costuiti prima del 2001, quindi in epoca antecedente alla nuova zonizzazione sismica attuata a partire dal 2003. Da questi semplicissimi numeri si capisce ben che quasi il 95% dell’intero patrimonio edilizio italiano potrebbe essere direttamente interessato da un potenziale rischio sismico. Ciò significa che in caso di evento tellurico considerevole poche sarebbero le possibilità che la struttura portante dell’edificio riesca ad assorbire l’energia dissipata dal terremoto, con conseguenze disastrose.
Adeguare e rinnovare è l’unica via da seguire per poter uscire da questa grave problematica, visto che il territorio italiano è interessato interamente dal rischio sismico. Già dallo scorso giugno il ministero ha preso l’impegno di costruire una task force per la creazione di una metodologia di classificazione degli edifici tramite una tabella unica a livello nazionale.
Per coloro che interverranno nel miglioramento della classificazione sono previsti meccanismi premiali e defiscalizzazioni.
Ma prima di tutto bisogna far rendere conto i singoli cittadini che un investimento in tema di sicurezza potrebbe salvargli la vita.